Una manciata di more

Il 6 gennaio 1950 esce su L’Unità un articolo di Togliatti su Silone dal titolo “Contributo alla psicologia di un rinnegato”.   Come risposta, lo stesso anno   Silone inizia a scrivere Una manciata di more, che terminerà nel 1951.  Nel romanzo, il primo ad essere pubblicato direttamente in italiano,  nel 1952,   Silone rinnova la sua critica al comunismo reale,  incurante delle reazioni e dell’aumentato ostracismo che sicuramente gliene deriveranno dalla potente industria culturale italiana dominata dal  Partito comunista.

La storia è ambientata nel 1944.

Rocco De Donatis, che si era gettato in politica fin da ragazzo,  è un abruzzese dirigente  del Partito comunista, il quale, di ritorno da un viaggio a Mosca e dopo missioni  in altri paesi esteri,  formula apertamente un  atto d’accusa nei confronti del  Partito  per aver  tradito le speranze di chi aveva visto in esso il riscatto delle classi più povere.

La vicenda di Rocco  e della sua crisi ideologica,  che lo porta all’espulsione dal Partito comunista   è per Silone un pretesto per spiegare perché è uscito dal Partito in cui ha militato per anni con la fedele compagna ebrea, Gabriella,   come il protagonista Rocco con la  giovane ebrea Stella.

Alla fine la speranza sarà solo riposta  nelle piccole comunità spontanee,  come già ne Il seme sotto la neve.