Il racconto di Fontamara

C’è un altro sentimento che affligge Silone in questi anni in Svizzera,  comune peraltro a tanti esuli politici,  ed è lo  sradicamento dell’esilio.  Di tornare in patria non se ne parla nemmeno, resta però un altro rimedio alla nostalgia:  ricordare, ricondurre lo sguardo verso la prima terra che si è conosciuta, verso la propria interiorità, per rivivere,  riportandolo  in vita,  il passato, indietro   fino all’adolescenza, fino all’infanzia.

Dalla desolazione in cui si trova a vivere, dalla pena per il fratello, dal non riuscire a farsi capire con i compagni di partito, dalla crisi della sua militanza politica in un Partito in cui non  crede più ma che non ha spento la sua ansia di giustizia sociale, da tutto questo,  attraverso il filtro della nostalgia,  nasce nel 1929 la spinta iniziale a scrivere Fontamara,  spronato anche da Gabriella, alla quale raccontava spesso storie abruzzesi.  Coinvolge anche il fratello dalla prigione, tenendolo occupato  nella ricostruzione di luoghi e persone del paese nativo.

Intanto, nel dicembre 1930 è arrestato brevemente dalla polizia svizzera perché sprovvisto del permesso di soggiorno.  Riesce ad evitare l’espulsione grazie all’aiuto di svizzeri antifascisti, sollecitati da intellettuali  esuli  con cui aveva iniziato a stringere amicizia. Ottiene asilo politico – che ufficialmente arriverà solo due anni dopo –  sotto condizione che si astenga rigorosamente da ogni attività o anche collaborazione giornalistica a carattere politico.