Reinvenzione di Silone

“The reinvention of Ignazio Silone”

di

Elizabeth Leake

(Toronto, 2003)

La tesi di Elizabeth Leake secondo cui Ignazio Silone avrebbe interamente inventato la propria immagine, la propria identità, la propria vita, si dimostra in realtà una totale reinvenzione della vita, dell’immagine, dell’identità di Ignazio Silone da parte della stessa Elizabeth Leake.

Veniamo adesso alla sostanza del libro.

Caratteri generali del libro

L’autrice parte, facendolo proprio, dal teorema Biocca-Canali che accusa Silone di essere stato un falso-socialista spia della polizia e, poi, un falso-comunista spia dei fascisti (quindi una spia dal 1918-1919 al 1931, dai diciotto ai trentun’anni). Poi va ben oltre. L’autrice, infatti, dimostra di non accettare la tesi secondo cui Silone, pentitosi dopo aver fatto la spia fascista all’interno del partito comunuista, si sarebbe redento attraverso le opere letterarie (antifasciste!). Per la Leake, Silone, traditore da sempre (per motivi abietti), dopo la rottura del rapporto con il questore fascista Bellone (pag. 22 e pag. 163) — cosa che, secondo la Leake, “rappresentò, per Silone, l’evento più significativo e drammatico che non la sua espulsione dal Partito Comunista Italiano nel 1931 o la morte del fratello nel 1932” (pag. 13) – decise di reinventare la propria identità creando attraverso le opere letterarie un Silone fittizio, con cui autoesaltarsi e santificarsi (pag. 37). Dopo la fine traumatica dei suoi rapporti con Bellone — sulla cui natura le insinuazioni abbondano a pag. 163 – “he reinvented himself ‘ (pag. 44).

Secondo questa tesi Silone sarebbe un Cagliostro politico del XX secolo visto che è riuscito a ingannare e manipolare la mente dei suoi lettori facendosi beffa di intellettuali europei, americani e del resto del mondo.

Procedendo con virtuosismo, attraverso un’esercitazione psicanalitica, la Leake costruisce pezzo per pezzo una sorta di Silone-Frankestein con le seguenti peculiarità (di Silone, ovviamente): odio per il padre (pag. 56, 65, 66), misconoscimento se non odio per la madre (pag. 170), tare mentali familiari (pag. 91), tubercolosi ereditaria (pag. 67), omosessualità (pag. 163), sospetta impotenza (pag. 173), il tutto condito da un’innata propensione al tradimento (pag. 35). A tutto questo campionario di devianze, si aggiunga l’influsso nefasto da lui avuto nella vicenda tragica del fratello e l’uso spregiudicato della sua morte rivelatasi una liberazione da un testimone pericoloso (“with Romolo dead, there was no one left to corroborate or to contradict Silone’s stories.”) (pag. 30).

L’autrice, attraverso una lettura psicanalitica delle prime tre opere letterarie di Silone, costruisce quindi un Silone-Frankestein che, dopo la morte come “agent of the Fascist state” (pag. 152), si autoricrea e risorge in un personaggio fittizio ideale, addirittura in odore di santità. La sentenza è emessa a pag. 141: Pane e vino “rappresenta il momento in cui l’uomo Ignazio Silone cessa di esistere, e al suo posto nasce il simbolo Ignazio Silone”. Prima però Silone scrive la storia di Murica che “reverberates with Silone’s own experiences.” Secondo la Leake, è la psicanalisi (di cui Silone deve aver fatto un uso smodato, come reiterato tra l’altro a pag. 8 e 22) a spiegarci perché Murica è Silone stesso’ “narrativizing Murica’s history serves to distance Silone from those activities which are attributed to Murica” (pag. 135). Insomma attraverso Murica, Silone si libera la coscienza per purificarsi prima di risorgere.

Secondo l’autrice Silone — invece di propagandare le sue idee sul socialismo cristiano dei cafoni e di continuare attraverso i personaggi dei suoi romanzi l’attività politica anche dopo l’uscita dal PCI — vende un’immagine artificiosa di politico e di intellettuale, costruendo giorno dopo giorno il monumento di sé, perseverando a livello letterario in una vita di truffe derivate da tare psichiatriche ereditarie. Silone avrebbe scritto non per continuare nei romanzi l’azione politica, quanto per creare delle icone false di sé. Con Pietro Spina — come spiega da pag. 118 — Silone scrive per accreditare se stesso come intellettuale antifascista, come se avesse avuto bisogno di un lancio di mercato. Silone è in sostanza un romanziere truffaldino che attraverso i suoi romanzi vende un se stesso del tutto inventato.

Gli eroi e i protagonisti non rappresentano, quindi, una sublimazione delle vicende della sua vita personale e politica, ma esprimerebbero l’inganno perpetrato da Silone reinventando se stesso per glorificarsi con l’attribuzione di propri connotati a personaggi eroici ma fittizi come Pietro Spina.

A pag 122 finalmente si parla del saggio – dichiaratamente autobiografico – “Uscita di sicurezza”. Ma l’autrice, come abbiamo visto, non si fa ingannare dalle apparenze e sentenzia: “By the time Uscita di sicurezza was published in 1965, Silone’s readers had long accustomed themselves to relying on the versions of his life that Silone himself furnished” (pag. 122): cioè “Uscita di sicurezza” è tutto un falso perché Silone non scrive del sé autentico ma copia dalle versioni della sua vita che si era inventato per i romanzi. E’ inutile ricordare che Silone nel libro cita persone, fatti e date, senza che nessuno lo abbia mai smentito. A questo punto, come si dice quando non se ne può più, ci cadono le braccia. Un contorsionista non avrebbe fatto di meglio.

Ma può un’analisi psicanalitica di un personaggio come Silone, con le sue implicazioni nella politica e nella letteratura, prescindere dalla storia dei partiti fascista e comunista, dalla storia d’Italia, dalla letteratura italiana, oltre che dalla vita stessa di Silone?

Per quanto riguarda la vita di Silone, la Leake scrive “I am a literary critic, not an historian. The questions that interest me have little to do with judging Silone’s activities from 1919 to 1929” (pag. 11). Bene, ma qui non si tratta di giudicare, qui si tratta di conoscere le attività, le vicende della vita di Silone, sia nel periodo 1919-1929 che dopo, fino al 1978, prima di emettere giudizi tanto drastici sulla sua vita pubblica e privata. Dov’è l’uomo Silone, il meridionale mediterraneo imbevuto di cattolicesimo che diventa un teorico marxista, un dirigente della III internazionale, poi socialdemocratico antitotalitario e cristiano fuori dell’istituzione chiesa?

Più in generale, l’autrice affronta uno scrittore come Silone e ne parla senza passare attraverso il marxismo dell’epoca, la torbida storia dell’internazionale comunista, il fascismo, l’Italia rurale com’era, la vita grama dei pochi esuli antifascisti italiani e la resistenza contro il fascismo e il nazismo, infine la lotta degli intellettuali liberi nell’età della guerra fredda.

L’autrice, per la sua scarsa frequentazione della storia del movimento operaio internazionale nel XX secolo, non immagina nemmeno la durezza dei dirigenti comunisti italiani, che si sentivano rivoluzionari di professione, immuni dalle problematiche psicologiche borghesi e adusi a feroci e quasi primitive lotte all’interno dell’internazionale comunista (basterebbe ricordare il tono delle lettere che si scambiavano).

Silone era un militante socialista italiano nell’età del fascismo, allenato a vivere nelle difficoltà materiali, in grado di sopportare persino le prigioni dell’epoca, e non un proprietario terriero mitteleuropeo decadente che si ritira a vivere in Svizzera. Il Silone della Leake, in crisi profonda con il suo amante, si rifugia in un paese come la Svizzera perché lì può trovare sia i migliori sanatori d’Europa per curarsi la tubercolosi che il miglior psicanalista al mondo, addirittura C.G. Jung, per risolvere i problemi mentali e farsi insegnare a scrivere, per esempio, .Fontamara.

Forse per la Leake tutte le impostazioni ideologiche di Silone, il Silone – tanto per citare un esempio – de La scuola dei dittatori, il Silone politico, il Silone antifascista, il Silone del Centro Socialista in Svizzera, il Silone dell’Assemblea Costituente, il Silone direttore dell’Avanti, il Silone uomo politico che si contrappone ad un comunismo rimasto ancorato allo stalinismo, sono tutte determinate da pulsioni psichiatriche, da deviazioni mentali.

Su questo argomento c’è poco da fare interpretazione psicologica. Basta conoscere in dettaglio la vita di Silone e l’epoca storica in cui si è trovato a vivere.

Se avesse invece ripreso le critiche rivolte a Silone per il carattere propagandistico e oratorio facendo un’analisi psicologica dell’homo meridionalis italicus, l’avremmo letta con più attenzione. L’autrice ha commesso anche un errore antropologico.

Le “prove” del tradimento e della doppiezza di Silone

Sulle “prove” dell’attività spionistica di Silone, l’autrice è ferma a Biocca-Canali. Inoltre, mentre omette di citare la difesa di Tamburrano in Processo a Silone, La disavventura di un povero cristiano, cita invece (pag. 192) Darina Silone nell’intervista in cui avvalora le accuse di Biocca e Canali, rilasciata a Repubblica il 28 aprile 2001, proprio in concomitanza con l’uscita del libro di Tamburrano.

Tamburrano smontando le accuse rivolte a Silone riporta infine la questione del presunto tradimento di Silone alla sua vera sostanza: un tentativo da parte di Silone di aiutare il fratello prigioniero dei fascisti, documentato dagli stessi fascisti e certamente noto al Partito comunista che non era contrario a simili tentativi (le accuse rivolte a Romolo dai fascisti prevedevano la condanna a morte), purché in definitiva non si danneggiasse ,il Partito stesso.

Il costruire tutta una storia di seconda mano prendendo per buone e dimostrate solo le tesi colpevoliste è un notevole esempio di approssimazione e di appiattimento acritico

La Leake ripete la vecchia solfa dell’antitotalitarismo come maschera dei socialfascisti

L’autrice dice che Silone, nel mettere sullo stesso piano fascismo e comunismo come facce opposte del totalitarismo, fa una operazione di nobilitazione del fascismo; cioè Silone, per la Leake, si nasconde dietro l’antitotalitarismo per discolpare se stesso (pag. 108; 143-144).

E’ la vecchia tesi staliniana secondo cui i socialisti sono in realtà socialfascisti perché criticano l’Unione Sovietica. Chi abbandona il Partito comunista e chi fa dell’anticomunismo sotto forma di antitotalitarismo è sempre uno pseudosocialista e in sostanza un borghese filofascista. La Leake concepisce le opere “antitotalitarie” di Silone come un “gioco” attraverso cui il Grande Impostore crea, dopo l’espulsione dal PCI, una sua personale “leggenda” antifascista, per coprire il suo viscerale anticomunismo di sempre e il peccato originale della sua “infiltrazione” nel socialismo massimalista prima e nel Partito comunista poi.

Dimentica, la Leake, che i cafoni protagonisti delle lotte sociali di Fontamara, sono i “contadini poveri … i fellahin i coolies i peones”, i medesimi contro cui (negli stessi anni in cui Silone scrive) viene condotta dallo stato sovietico la “collettivizzazione forzata”, la deportazione, la soppressione.

Ignora, la Leake, che negli anni in cui Silone in altre opere (che ella interpreta come truffaldine e di autoesaltazione) attacca apertamente la gestione staliniana del partito comunista italiano, il dittatore sovietico ordina la caccia ai trotzkisti, ai comunisti ed ex comunisti dissenzienti, facendo ad esempio assassinare Ignaz Reiss a Losanna, a due passi da dove viveva Silone; facendo scomparire nella Senna Rudolf Klement; e infine, durante la guerra, giustiziando in Francia il cognato di Silone, Pietro Tresso, anch’egli già massimo dirigente del partito comunista d’Italia e poi capo dell’opposizione interna a Togliatti.

Il gioco di Silone, antifascista durante il regime fascista e antistaliniano mentre Stalin governava e terrorizzava l’Internazionale comunista, è un gioco pubblico: ha un nome da sempre e si chiama lotta politica. C’è poco da fare psicanalisi.

Silone, mai antifascista, ma solo apostata del comunismo

Secondo la Leake gli epiteti che Togliatti lanciava a Silone, usuali per i transfughi del comunismo, nel caso di Silone erano dovuti al fatto che Togliatti “knew about Silone’s anti-Communist activities” (pag. 40 e 167). L’autrice riporta gli epiteti che Togliatti rivolge a Silone (maggio 1950) e agli altri cinque autori del “The God that failed”. Nel ricordare che Silone è definito solo “opportunista” e “doppiogiochista”, la Leake dimentica la conclusione dell’invettiva: “i sei falliti (…) Un abisso di corruzione e degenerazione che osa presentarsi con la maschera di intellettualità raffinata.” Silone sarà in altre occasioni definito da Togliatti: pidocchio, rinnegato, traditore, ecc. A parte il fatto che Silone gli rispose sempre per le rime, come si fa a pensare che Togliatti poteva avercela con Silone perché “sapeva”? Un’affermazione del genere richiede riscontri, non solo contorsioni mentali. La conosce la Leake la tragedia dei dissenzienti in Unione Sovietica e l’ostracismo verso gli intellettuali non allineati in Italia da parte del più forte Partito comunista d’occidente?

Attraverso tutto il libro l’autrice evidenzia per Silone il ruolo di comunista o ex comunista (pag. 3, 4 e oltre), dando pochissimo risalto alla sua instancabile lotta antifascista. Quando scrive che i romanzi di Silone sono gli scritti di un ex comunista diventato anticomunista, dimentica di dire che, soprattutto quelli scritti in Svizzera, sono opere antifasciste.

A pag. 29 è costretta ad ammettere che i primi scritti di Silone “erano inequivocabilmente critici del fascismo”, ma subito aggiunge che questo tema “contributed greatly to the construction of his public persona as a writer” (insomma usò l’antifascismo per costruirsi l’immagine di scrittore) ma aggiunge che nelle revisioni dei suoi romanzi Silone attenuò questo aspetto. A parte che non ci furono in Silone e nelle sue opere attenuazioni dell’antifascismo, l’autrice non ha letto quanto Silone ha scritto dopo la guerra su coloro che pretendono di vivere di rendita solo sull’antifascismo, così come si è sempre dichiarato contrario all’anticomunismo di maniera (basti citare il suo incontro con Koestler dopo la guerra).

Finalmente a pag. 38 è costretta ad ammettere che “fino alla fine della guerra i suoi libri erano banditi dall’Italia, for obvious reasons”. Ce le vuole spiegare per favore queste “ovvie ragioni”?

Quando scrive che in Fontamara Silone “non fa riferimenti diretti agli avvenimenti politici del periodo, né alla situazione storica a cui Silone si riferiva” (pag. 93), non vede il carattere politico del romanzo, e non spiega che Fontamara “è” la situazione politica italiana sotto il regime fascista. Secondo lei bisogna leggere antologie storiche (pag. 175) per capire l’impatto dell’opera di Silone come opera antifascista. Nell’accennare come Trotzky si fosse mostrato “well disposed towards Fontamard’ (pag. 40), la Leake non dice che in effetti Trotzky ne fu incredibilmente entusiasta perché ne riconobbe i grandi meriti di denuncia politica antifascista e anticapitalista presentati in forma artistica; e in nota (per giustificare “la buona disposizione” di Trotzky verso il romanzo di Silone), rimarca come i due fossero “personal acquaintances from the period of Silone’s activity in the PCI” (pag. 167).

Riguardo alla letteratura dell’epoca, all’autrice interessa solo un’analisi psicanalitica del rapporto letterario Silone-Verga. A lei non va giù che Silone abbia negato l’influenza di Verga sulla sua produzione letteraria. A pag. 66 vede nel “rigetto di Verga” da parte di Silone un chiaro riflesso del rigetto di quella parte del suo “cultural development which took place during his PCI years”. Silone direbbe quindi no a Verga, perché gli ricorda il Partito comunista!

Equivoci madornali sulla fortuna di Silone scrittore

Sulla fortuna dello scrittore Silone in Italia, ieri ed oggi, la Leake appare disinformata.

Sulla “liturgical response” che afferma di ricevere in Italia al semplice pronunciare il nome di Silone (pag. 142), è bene chiarire invece che la fortuna di Silone in Italia non c’è e non c’è mai stata. Non si accorge che alcuni pochissimi esemplari di siloniani esistono oggi solo tra le montagne abruzzesi ed è loro consentito solo di lodare la redenzione di Silone dopo il tradimento, secondo logica cattolica.

Nel libro si parla di un’età d’oro di Silone dopo il rientro in Italia dall’esilio. E’ un falso che Silone sia stato famoso in Italia. E’ stato uno scrittore antitotalitario, ghettizzato dalla cultura dominante, che riceveva il culto clandestino di pochi e sparuti socialdemocratici. Si aggiunga che Silone venne anche trombato alle elezioni politiche (quelle del 1953). Non sono stati molti, tantomeno lui, ad accorgersi in Italia che era diventato l’icona di cui l’autrice scrive a pag. 148.

Circa le affermazioni secondo cui dopo la fine del fascismo molti italiani erano orgogliosi dell’immagine di Silone all’estero e in patria (pag. 9), e che c’era una sorta di equilibrio tra chi gli era favorevole e chi non lo era nell’ambito della critica letteraria (pag. 163), non è assolutamente vero. Dopo la guerra Silone fu misconosciuto in Italia dalla assoluta maggioranza degli italiani, a causa dell’ostracismo di chi allora contava, cioè la critica letteraria e i suoi corollari egemonizzati dal partito comunista e il mondo cattolico con le sue ramificazioni nella stampa e altrove.

Sessuologia di Silone

Veniamo all’osservazione secondo cui Silone non scrive mai di sesso (p.173). Gli uomini italiani del `900, soprattutto quelli dell’Italia meridionale, erano reticenti a parlare (se non tra loro) di sesso, pur frequentando le case di tolleranza: il ritegno sul sesso non era una forma di disprezzo. Ma se si vuole scendere così in basso sono costretta ad adeguarmi. Tralasciando ulteriori commenti di pessimo gusto sulla sfera intima di Silone, lui, come ha raccontato un giorno a mio marito, dopo le riunioni del Partito comunista a Roma che si svolgevano nel quartiere Monti e che finivano sempre a notte tarda, con Gramsci e altri dirigenti frequentava il cosiddetto casino di Via Baccina.

Cosa dire degli ammiccamenti circa un’omosessualità di Silone (pag. 163)? Ma da dove la tira fuori? Chi lo ha “murmured”? La Leake sembrerebbe voler fare intendere che l’omosessualità sia legata ad una forma di pazzia di Silone ovviamente, ma anche di Bellone, visto che lo fa morire in manicomio. Questo atteggiamento sanitario-puritano della Leake, è incredibilmente vicino alle opinioni dei nazisti. Forse la Leake vuole insinuare che le scelte politiche di Silone sono deterministicamente originate da pulsioni sessuali deviate?

Errori biografici e varie

L’autrice è assai disinvolta e approssimativa sulla vita di Silone. Voglio sperare che sia per ignoranza e non per tendenziosità.

Silone non lascia l’Italia per Davos nel 1929 (pag. 3), bensì nel 1927.

Silone “all’epoca del suo allontanamento dal partito comunista faceva psicoterapia con C.G. Jung” (pag. 8): Silone non ha fatto alcuna terapia né con Jung, dato che nel 1929-30 viveva in grandi ristrettezze ampiamente documentate, né ha tantomeno continuato nel 1931 con la Valangin (pag. 22). A proposito, dove ha preso la Leake l’informazione che la Valangin “took Silone’s case from Jung”: la Valangin non ne parla affatto nelle sue memorie? A Franca Magnani attribuisce una testimonianza (pag. 162) circa “la psicoterapia che avrebbe fatto in quegli anni con C.G. Jung a causa delle sue malattie nervose” (pag. 22 e 163). Nel libro “Una famiglia italiana” la Magnani scrive : “Il libro .Fontamara era uscito un anno prima [1933] a Zurigo, in tedesco. Io ne avevo sentito parlare in casa, molto, e con ammirazione. Negli ambienti svizzeri e dell’emigrazione tedesca Fontamara divenne l’opera letteraria antifascista tout court./Sentivo dire da mio padre che Silone a Zurigo aveva la fama di gran bell’uomo: bruno, il portamento fiero, lo sguardo languido. Mio padre riferiva i commenti delle sue allieve della Scuola Berlitz (…) queste signore rimanevano affascinate dalla personalità di Silone: misteriosa, da bel tenebroso interiormente combattuto, artista, ‘idealista e fisicamente piacente. (…) Lo scrittore italiano frequentava assiduamente in quel periodo l’ambiente di C.G. Jung, il maestro svizzero di psicoanalisi. Del cenacolo faceva parte un gruppo di signore intellettualmente raffinate, chiamate, non senza malizia, le “Jung-Frauen”, le seguaci di Jung.”. C.G. Jung non era solo uno psicoanalista, si interessava molto assiduamente di politica.

Sulla relazione con Aline Valangin, definita “moglie di un amico” (pag. 22), e rappresentata come contemporanea a quella con Gabriella (“he was involved with two women”) (pag. 90), è documentato che Aline Valangin e il noto avvocato Wladimir Rosenbaum formavano una sorta di coppia aperta e che la relazione con Silone non era un segreto per nessuno; inoltre all’epoca il profondo amore di Silone per Gabriella si era già trasformato in un grande affetto.

A pag. 165 s’insinua che Silone non venne mai arrestato dopo che il fratello venne catturato e incriminato per strage (ma Silone era esule in Svizzera da un anno!) e che nella sentenza conclusiva venne assolto (per la sua qualità di informatore?). Mentre Silone viveva in Svizzera, il 24 novembre 1928 venne emesso contro di lui un mandato di cattura per l’attentato al Re di cui era coimputato il fratello Romolo; poi, nella sentenza conclusiva del 6 giugno 1931, venne derubricato per ambedue i fratelli il reato di strage e Romolo fu condannato perché davanti al tribunale si dichiarò comunista e quindi sovversivo dell’ordine fascista. Silone era contumace.

Come si può dire che la morte del fratello lo aveva “glamorized” e gli diede “narrative authority” (pag. 30) quando Silone non ha mai parlato pubblicamente della tragica fine del fratello, anzi è stato persino accusato di non averne parlato abbastanza. Per onor del vero ne ha parlato due volte pubblicamente negli scritti, la prima con mezza frase nelle “Memorie dal carcere svizzero” scritte nel 1942; la seconda con un’altra mezza frase nel 1965 in “Uscita di sicurezza”. Un ricordo di quanto doloroso sia stato per lui il solo menzionare la morte del fratello si può trovare nelle testimonianze di noi parenti.

A pag. 37 l’autrice scrive che Silone “ha operato per mantenere lo stato di Romolo non come martire (dacché la sua morte in prigione già lo qualificava come tale), ma come un martire la cui morte era dovuta all’amore per il fratello e all’emulazione”. Oltre al fatto che Romolo ha dimostrato ampiamente anche nelle sue lettere l’ammirazione e l’estrema devozione per il fratello, i cugini di Silone hanno sempre ricordato in famiglia quanto i due fratelli si adorassero e come Romolo cercasse di imitare il fratello maggiore, cosa del resto considerata normale in Italia e nei paesi mediterranei. La cosa è addirittura ricordata da don Orione, quando parla della presunta influenza comunista del fratello maggiore, definita nefasta, come ostentato dalla Leake a pag. 165. Bisogna ricordarle anche che la dichiarazione di don Orione era fatta per cercare di attenuare le responsabilità di Romolo davanti ad un Tribunale fascista?

Romolo, un giovane dal fisico atletico, campione di ginnastica e nella corsa (testimonianze dirette dai collegi, dal servizio militare, da circostanze documentate), in prigione patì le sofferenze fisiche e psicologiche (riferiti dalla Leake con ben altra connotazione a pag. 22 e pag. 91) di un detenuto politico torturato ferocemente a più riprese, tenuto in un regime di carcere duro e in isolamento, sballottato da una prigione all’altra lungo la penisola: tutto questo, ricordiamo alla Leake, durante una dittatura fascista. Il prestar fede da parte della Leake a un documento sanitario emesso da una prigione fascista sulle cause della morte del detenuto politico Romolo Tranquilli, secondo cui sarebbe morto a ventotto anni perché “colpito da un’infezione polmonare” – come evidenziato con soddisfazione da Biocca-Canali nel loro libro a pag. 122 – dimostra un particolare acume storico da parte dell’autrice. Sulle insinuazioni che le attenzioni verso Romolo in prigione fossero soprattutto da parte di Gabriella, mentre quelle di Silone erano solo “sporadiche” (pag. 91), ricordiamo che le lettere a un detenuto politico erano necessariamente censurate per norma (figuriamoci poi quelle inviate da un fratello noto sovversivo comunista latitante); e spesso i soldi ed altro venivano trafugati dai carcerieri, come risulta dalla corrispondenza del periodo. Era quindi più facile che le lettere inviate da Gabriella giungessero a destinazione e senza troppi trafugamenti.

Nella famiglia di Silone non c’è una storia familiare né di turbe psichiatriche né di tubercolosi (pag. 91 e pag. 67). Gli uomini della famiglia di Silone erano i più robusti, i più alti oltre che tra i più svegli del paese, contando anche numerosi professionisti, e così i loro discendenti; tutti gli anziani hanno raggiunto e superato i novant’anni (polizia fascista permettendo). Se la Leake non ci crede, venga con il metro a controllare, portandosi dietro anche un esperto di Q.I. ed uno psichiatra. Il padre di Silone, eccezionalmente forte come i suoi fratelli, fu l’unico dei fratelli a morire presto, a quarantun’anni, di polmonite. Un fratello maggiore di Silone morì a quattordici anni per le conseguenze di una caduta da un muretto mentre giocava con i compagni.

Il genere di vita condotto da Silone in Svizzera, con i suoi interessi culturali, e infine la rinnovata attività politica svolta durante la guerra di liberazione, è del tutto ignoto alla Leake (pag. 52).

Il ruolo di Silone dopo la guerra come scrittore e uomo politico è del tutto sconosciuto alla Leake. Silone ha alternato l’attività di scrittore a quella di politico: ogni volta che lasciava la politica tornava a pubblicare romanzi. Il dubbio della Leake sulla validità del Silone scrittore e del Silone politico (pag. 42) ricalca una critica di parte comunista apparsa su L’Unità il 9 agosto 1952 in cui Carlo Salinari scriveva “…la caratteristica fondamentale di Silone è l’impotenza …ha fallito in ogni momento della sua vita … Politico? No. Scrittore? No. E che gli facciamo fare, pover’uomo.”.

Un accenno alla doppiezza di Silone dimostrata secondo la Leake dal travestimento di Pietro Spina in Paolo Spada (pag. 125). Voglio solo ricordare alla Leake che Silone ha invero fatto uso di stratagemmi, travestimenti e svariati pseudonimi, non per doppiezza, bensì, come noto a chicchessia, per le esigenze della vita di un combattente militante comunista nelle attività clandestine sia in Italia che per l’Europa.

Circa i dubbi che il Premio Viareggio sia stato effettivamente negato nel luglio 1966 a Uscita di Sicurezza (p. 152 e 185), voglio ricordare alla Leake, in epoca di egemonia culturale comunista in Italia da fin dopo la guerra, la dichiarazione del presidente a vita del premio Leonida Rèpaci circa “gli ingiuriosi apprezzamenti contro Togliatti” contenuti nel libro. Uscita di sicurezza fu perentoriamente escluso. Silone inoltre non ebbe il Nobel, cosa di cui l’autrice sembra accusarlo (pag: 166): la Francia ha sempre saputo sponsorizzare i propri intellettuali, e negli anni in cui Gide (1947), Camus (1957), Sartre (1964), oltre a Mauriac e Saint-John Perse, venivano insigniti del premio Nobel, Silone era alle prese con l’indifferenza se non l’ostracismo dei massimi detentori delle chiavi del potere culturale e non solo, in Italia: il Partito Comunista e la Chiesa con la Democrazia Cristiana.

A pag. 163 si legge che Bellone morì in manicomio nel 1939: Guido Bellone morì nel 1948 (Minimo Franzinelli, I tentacoli dell’OVRA); da dove viene la notizia della morte in manicomio?

Circa i sentimenti negativi verso il padre e la madre di cui si discetta nel libro — Silone, secondo l’autrice, pensava del padre cose del genere “dead or emigrated …it is the same to me”; la madre invece per lui era come se non fosse mai esistita — vorrei poter qui elencare tutti i riferimenti assai teneri pur pudichi verso il padre e la madre apparsi nelle sue opere, da Il seme sotto la neve a Uscita di sicurezza. E’ difficile dimenticare le espressioni di ammirazione e orgoglio intriso di tenerezza del bambino Silone verso il padre (forse l’autrice a pag. 67 pensa che Silone avrebbe dovuto ritenere come “punitive aggressiveness of his father” il lieve ricordo di una significativa tirata d’orecchi?); oppure il rimpianto per una madre affettuosa dietro il telaio o al desco della prima colazione, la cui mancanza dopo il terremoto è presentata con estremo pudore e dolorosa nostalgia.

Come si fa a scrivere che l’opera incompleta Severina , uscita postuma e a cui ha contribuito la vedova Darina Silone, si possa considerare la migliore opera di Silone (pag. 183) –- e che Il seme sotto la neve sia il meno esplicitamente autobiografico (pag. 139)?

A pag. 173 si scrive con tono allusivamente negativo che dopo l’arresto di Romolo “decades passed before Silone would return to Pescina, though all of his books but one are set there”. Silone in effetti aveva lasciato Pescina non dopo l’arresto di Romolo nel 1928, bensì già dal 1926. Vogliamo ricordare alla Leake quanto segue? Dal 1926 alla fine del 1927 Silone continua a svolgere la sua intensa e pericolosa attività antifascista clandestina nel nord Italia e all’estero (nel novembre 1926 sono state promulgate le leggi eccezionali fasciste); alla fine del 1927 è costretto a riparare esule in Svizzera insieme ai dirigenti del Partito; a Pescina torna subito dopo essere rientrato in Italia dall’esilio nel 1944. Vogliamo ricordare alla Leake che Silone era in Svizzera perché in Italia c’era un regime che non gli consentiva di circolare liberamente, anzi, con vari mandati di cattura, faceva chiaramente intendere che lo voleva in prigione?

Fonti d’ispirazione ed esito conclusivo dell’opera

E’ indubbio che, come la stessa autrice dichiara, prima di scrivere su un personaggio come Silone si è tenuti a documentarsi bene, soprattutto in Italia. Ma con chi si è consultata in Italia la Leake sull’argomento Silone? Le fonti che lei stessa dichiara di aver usato sono, correttamente, storiche e familiari.

Ma lei ha consultato una sola fonte storica e una sola fonte familiare.

La fonte storica è Dario Biocca, menzionato come “generoso dispensatore di conoscenza e materiali” (pag. vii); lo storico con cui ha lavorato “in tandem” (pag. 9); l’autore, il cui libro scritto con Canali ha aperto gli occhi alla sinistra americana che prima idolatrava Silone sulla vera natura dell’ignobile personaggio’ (pag. 11), tanto che uno sparuto Hitchens che ha rigettato le tesi accusatorie lo ha fatto solo dopo essersi dichiarato incompetente a giudicare (pag. 12); Biocca citato con gratitudine altre quattro volte nel testo, per non parlare delle quattordici menzioni in nota.

La seconda fonte, quella familiare è il pronipote Romolo Tranquilli che “ha cortesemente fatto partecipe [l’autrice] di un gran numero di fatti e dei suoi ricordi personali, entrambi di grande valore per la comprensione di Silone” (pag. vii). Quale Silone? Sicuramente il Silone di quel pronipote che aveva “dato la propria approvazione e assistenza a Biocca alla ricerca di base” (pag. 21), aveva fatto altri interventi in favore di Biocca-Canali, e aveva anche riconosciuto la calligrafia di Silone su documenti compromettenti che anche ad un primo sguardo nulla avevano a che fare con la scrittura di Silone (a parte la perizia calligrafica che dimostrava il contrario).

A proposito della ricerca iniziale di Biocca sfociata con Canali nel libro “L’informatore Silone”, la Leake fa dei due autori le vittime di attacchi da parte di tutti coloro che non condividono le loro tesi (pag. 47). Ma quando mai? E come la mettiamo con la perentorietà, la supponenza con cui gli autori hanno confuso i poveri lettori, la stragrande maggioranza dei quali, intimidita perché non ha mai messo piede in un archivio, non osa contestare che dotte autoreferenziali ricerche nei misteriosi e sconosciuti meandri archivistici possano aver prodotto una serie di “Silone scrive” riferite a una miriade confusa e svolazzante, come sabbia negli occhi, di messaggi dattilografati, o con svariate calligrafie, spesso senza mittente, oppure con vari mittenti come Silvestri, Silvestro, T, 73, S. ecc. attribuendo a Silone ogni messaggio ritrovato negli archivi non riconducibile ufficialmente ad alcuno. E come la mettiamo con la tesi di Biocca e Canali come povere vittime dopo l’arroganza del pamphlet dal titolo “Il caso Silone, Le prove del doppio gioco”, giugno 2000, in cui Canali riempie di vituperi uno per uno coloro che hanno osato contestare le accuse a Silone?

L’autrice sposa idee di seconda mano, da Biocca e dal pronipote, come se Biocca fosse l’unico storico e un pronipote il rappresentante di tutti i parenti di Silone attualmente sulla trentina.

Non credo assolutamente, come è stato invece dichiarato pubblicamente da Darina Silone e dal pronipote, che per amore della libertà d’opinione, Silone avrebbe lasciato che si scrivessero tali infamie.

Per molto meno Silone intentò una causa pubblica in Italia negli anni ’60.

  • Abbiamo così assistito alla “reinvenzione” di Silone da parte di Elizabeth Leake.

Maria Moscardelli

2005