Il fallimento dell’ideale comunista

Gli anni trascorsi all’estero saranno fondamentali per  Silone.

I primi tre anni, dal 1928 a tutto il 1930, si riveleranno  durissimi: Silone vivrà  vicissitudini drammatiche che lo coinvolgeranno dal punto di vista fisico, affettivo, familiare ed intellettuale.

Nel 1928 Silone matura una dolorosa crisi politica in seguito alla scoperta  che il Partito comunista,   a cui ha dedicato tutto se stesso per anni,  si sta modificando, si sta corrompendo. Un profondo ripensamento critico dell’adesione all’Internazionale Comunista era già iniziato durante i  viaggi in Russia dove gli  incontri ravvicinati con i leader mondiali del comunismo ed il comportamento di Stalin  gli avevano fatto intuire in anticipo l’evoluzione totalitaria del comunismo. Nel Partito comunista d’Italia, sul programma rivoluzionario, prevale ormai  la logica conservativa dell’apparato.  Le motivazioni per cui ha fatto la scelta di entrare nel Partito sono immutate, lui non è cambiato, è sempre lo stesso,  ma è il Partito che è cambiato.

Il dolore per la delusione patita si unisce alla preoccupazione per sé ed i compagni:  scomuniche e trame  caratterizzano  la svolta  torbida e convulsa della vita di partito.

Mentre vive con grande sofferenza il fallimento di tutte le speranze che aveva riposto in una scelta di vita fatta per combattere le ingiustizie sociali,  nel 1928 accade un fatto tragico che lo riguarda personalmente.

Il fratello ventiquattrenne, mentre è in procinto di espatriare,  viene imprigionato dai fascisti, con l’accusa di aver compiuto una strage a Milano, in un tentativo di attentato al re.

Di fronte ad un’accusa di regicidio che porta dritto alla condanna a morte,  Silone  teme fortemente per la sorte del fratello amatissimo, ma  la sua pena è resa più grande da  qualcos’altro di cui solo lui è consapevole.