L’ennesimo “caso Silone”

1La vita stessa di Silone e i  suoi scritti sono la migliore risposta a Dario Biocca e Mauro Canali che, in questi ultimi anni, con inizio nel 1996, hanno accusato Silone2 di essere stato fin dal 1919 un falso socialista spia della polizia, poi un falso comunista spia dei fascisti.  Secondo gli accusatori,  la sua vicenda personale di rischiosa, continuata e pubblica lotta e testimonianza contro tutti i totalitarismi nascondeva una iniziale schizofrenica miserabile esistenza di giovane spia e di informatore.

Il teorema,  di per sé costruito con azzardate congetture3 basato anche su carte inattendibili della polizia fascista,   secondo il quale Silone sarebbe stato  un informatore della polizia politica,  crolla miseramente di fronte alla considerazione che il fascismo, duramente attaccato negli anni Trenta, con enorme risonanza internazionale dal romanzo Fontamara e in seguito dagli altri suoi romanzi e scritti, aveva interesse a denunziare pubblicamente un ipotetico passato doppiogiochista dell’autore all’epoca in cui era primo dirigente della gioventù socialista e, poi, del partito comunista.  La pubblicazione di Fontamara nel 1933 fu “un avvenimento eccezionale, con la vendita di oltre un milione e mezzo di copie, in 27 lingue; il romanzo galvanizzò l’opinione pubblica contro il fascismo”,  sintetizza il 15 maggio 2000 Alexander Stille, che in quest’ultima polemica non si può certo considerare un suo difensore.  Nessun regime tollererebbe che un suo informatore continuasse per anni ad attaccarlo pubblicamente. Non si è mai visto un regime totalitario così ottusamente masochista.

La polemica scandalistica innescata dai cultori della Storia fatta con il Verbo ritrovato negli archivi delle polizie politiche,4 ha messo in evidenza anche il folto gruppo  dei ragionatori secondo il criterio dei maledetti tre quarti e tre quarti.   E’ così che l’acqua di Fontamara, dirottata in favore del potere dominante,  è  ipocritamente equilibrata a parole.

Silone, per coloro che ritengono inopportuno contestare il teorema para-poliziesco, resterebbe per tre quarti un esemplare scrittore e uomo politico di sinistra e per i restanti tre quarti uno spione sin dal suo ingresso nella politica attiva,  redento poi  nell’opera letteraria e nell’attività saggistica,  piena, ovviamente, di ulteriori belle bugie.  Il coraggio morale e l’integrità che Maria Nicolai Paynter ritrova nel messaggio di Silone5 sarebbero  in realtà una ulteriore mistificazione, un  globale inganno.

In Italia lo storico Giuseppe Tamburrano non si è fatto influenzare dal dominante  conformismo e da autorevole studioso del movimento socialista e acuto analizzatore delle fonti archivistiche,  ha smontato, con circostanziate ricerche e documentate controprove, con Gianna Granati e Alfonso Isinelli, le accuse infamanti rivolte a Silone. All’estero risalta la colta e accurata difesa da parte dello studioso italianista Michael McDonald.7

La vita di Ignazio Silone, più che su carte oscure “interpretate” scandalisticamente e su artificiose congetture, stridenti con le evidenze storiche globali, risalta  –  come mettono in evidenza tanto Tamburrano, quanto Gurgo nella documentata  biografia8 – nei pubblici scritti politici, suoi e dei suoi contraddittori;  nelle testimonianze, palesi o private, di quanti l’hanno frequentato o contestato;  nelle stesse sue dichiarazioni, memorie, ricordi; e, perfino nei protagonisti positivi, gli “eroi” socialisti o cristiani, dei suoi romanzi.  Del resto la stessa metodologia storiografica avverte che spesso i “documenti”, apparentemente neutrali, sono più fuorvianti dei “monumenti” e degli scritti provenienti dal soggetto biografato.

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Il teorema accusatorio para-poliziesco, nonostante e forse proprio per la sua dimostrata inconsistenza e unilateralità storiografica, ha generato alcuni corollari, sul versante psicoanalitico e psicologico, che vale la pena  citare.

Il più recente è quello di Elizabeth Leake che, con abbondante ricorso alla metodologia psicoanalitica ma con scarsa conoscenza degli scritti di Silone e del contesto storico, dà per assolutamente dimostrata la tesi  che Silone sia stato una spia.

Secondo lei,  Secondino Tranquilli, traditore da sempre (per motivi abietti, risalenti a tare ereditarie fisiche e psichiche), dopo la rottura del rapporto (anche erotico) con il questore fascista Bellone che “rappresentò l’evento più significativo e drammatico che non la sua espulsione dal Partito Comunista Italiano nel 1931 o la morte del fratello nel 1932”, (sulla cui tragica fine aveva anzi avuto un “influsso malvagio”),   avrebbe “reinventato la propria identità creando attraverso le opere letterarie un Silone fittizio con cui  autoesaltarsi”:  nessuno avrebbe potuto contraddirlo perché con la morte del fratello si era  “liberato da un testimone pericoloso”.

Silone avrebbe inventato una immagine artificiosa di politico e di intellettuale per costruire il monumento di sé, perseverando a livello letterario in una vita di truffe e malvagità  causate da tare mentali e fisiche  ereditarie.

La pazzesca ricostruzione afferma poi che Silone, vero e proprio Cagliostro politico del XX secolo, in ogni scritto autobiografico a cominciare da Uscita di sicurezza  (e in ogni sua corrispondenza, quindi),   non avrebbe scritto del sé autentico ma avrebbe copiato dalle versioni della sua vita che si era inventato per i romanzi.    E’ inutile ricordare qui che Silone  cita persone, fatti e date, senza che nessuno dei contemporanei lo abbia mai smentito.

Avventurandosi poi senza ritegno alcuno nella interpretazione psicoanalitica degli scritti politici di Silone, la scrittrice sostiene che Silone, nel mettere sullo stesso piano fascismo e comunismo come facce opposte del totalitarismo, avrebbe fatto una operazione di nobilitazione del fascismo.

“L’invenzione” della sua  personale leggenda antifascista, sarebbe stata compiuta da Silone per coprire il suo viscerale anticomunismo di sempre ed il suo  peccato originale dell’infiltrazione nel socialismo massimalista prima e nel Partito comunista poi.

E’ di tutta evidenza invece che l’opera  di Silone,  duro antifascista durante il regime fascista e ostinato antistaliniano mentre Stalin governava e terrorizzava l’Internazionale comunista, è un gioco pubblico:  ha un nome da sempre e si chiama lotta politica.  C’è poco da fare giochi di prestigio psicoanalitici.

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Il teorema accusatorio è stato anche proposto dai “denunciatori” allegando come “prova” la presunta confessione di Silone.   E’ inutile perdere tempo in chiacchiere perché Silone  si è finalmente deciso a confessare!  Ebbene sì, è stato  scritto, Silone avrebbe confessato chiaramente nelle sue opere,  riferendo a se stesso termini come rimorso, tradimento, abiezione, pazzia.  Ma non è tutto.  Silone avrebbe addirittura lasciato il proprio (bieco) autoritratto in un personaggio dei suoi romanzi, l’informatore Murica di Ed egli si nascose,   già in Vino e pane.  In Murica ci sarebbe la confessione della vicenda stessa dell’autore, non più criptica visto che finalmente è stata decifrata dagli accusatori!

Autore che, è bene ricordarlo, ha sempre definito come “fenomeno d’incultura” che permane “non solo tra gli analfabeti, ma anche tra i professionisti e le persone istruite,  la tendenza paesana a […] riconoscere ogni personaggio e ogni luogo”.  Ricordo, al proposito, che un giorno dissi a Silone che lo scarparo Baldissera di Fontamara mi aveva fatto pensare al ciabattino che avevo visto al suo banco a Pescina in un negozietto sotto il palazzo nobiliare a Piazza Santa Maria, ora in parte Piazza Ignazio Silone.  Silone mi disse  allora  come ogni tanto arrivasse qualcuno dall’Abruzzo per informarlo di aver riconosciuto delle persone nei personaggi dei suoi libri.  Dopo una pausa, aggiunse:  “Ora ti ci metti anche tu”.    Confesso che pensai  che il suo voler bloccare questo tipo di esercitazione era dovuto sia al desiderio di non nuocere a quelle persone con cui non era stato affatto tenero in libri in cui aveva messo tanto di se stesso, sia per un vezzo di scrittore che non voleva evidenziare come l’ispirazione gli potesse derivare dalla realtà.

Surrogare alle prove storiche inesistenti e supplire all’illogicità della propria tesi colpevolista,  estrapolando una frase dal contesto o scegliendo  un personaggio non principale  tra gli oltre trecento dei  romanzi di Silone,   richiede una replica sullo stesso piano.

La prova “psicologico-narrativa” dell’ipotetica implicita autoconfessione del giovanile tradimento da parte di Silone è, infatti,  inconcludente e infondata anche sotto il profilo psicologico e della critica letteraria.

L’approfondita analisi storico-letteraria fatta da Luce d’Eramo9 riporta varie opinioni espresse nel corso degli anni da studiosi, critici, letterati, politici di mezzo mondo, sulla somiglianza dei protagonisti dell’opera di Silone con l’autore stesso,  a cui Silone non ha avuto niente da  obiettare.  Anzi, Silone non ha mai  nascosto,   e lo ha scritto a varie riprese,  che nei protagonisti dei suoi libri sono riconducibili tratti dell’autore.  Ma l’opinione comune non dimostrerebbe di per sé niente.  Se non che, diversamente, avrebbero tutti dovuto negare l’evidenza, cioè le oggettive  somiglianze, visto che con i protagonisti dei suoi romanzi – che per lo più si svolgono tra le montagne e gli uomini dell’Abruzzo – Silone, oltre alle esperienze politiche,   ha in comune del tutto od in massima parte, i dati anagrafici, le origini,  i legami familiari (anche se spostati da un ramo all’altro), la descrizione fisica, i luoghi della vita,  gli studi, lo stato di salute, le opinioni politiche e religiose,  i viaggi in Italia e all’estero.  Non v’è nulla di arbitrario nel cogliere i nessi ed i reciproci riflessi tra i protagonisti della finzione e l’autore, intellettuale-politico chiaramente connotato dalle sue riconoscibilissime vicende personali e familiari.

Nel complesso dei  suoi scritti poi,  se non ci si limita ad estrapolare qua e là una parola, si capisce bene cosa intende Silone quando parla di  rimorso, tradimento, abiezione, pazzia   (come si evince chiaramente dalla  parte III, “Silone racconta se stesso”)10.

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Realtà e narrazione  sono  in Silone e nelle sue opere perfettamente parallele, poste nello stesso ordine e con la stessa  semplicità: da un lato il protagonista-autore (di volta in volta Pietro Spina, Tommaso il Cinico, Rocco De Donatis, Andrea Cipriani, Celestino, senza tralasciare il Solito sconosciuto e Agostino) e dall’altro gli  antagonisti (imprenditori furbi e senza scrupoli; burocrati di opposti apparati; dignitari ecclesiastici  e di partito;  il piccolo-borghese traditore dei compagni, Murica;  il cafone inurbato comprato dal potere, Peppino Goriano, ecc.).  E’anche facile – o forse lo è sin troppo per chi, come me, appartiene alla cerchia dei parenti che lo hanno frequentato – ritrovare le evidenti coincidenze, ad esempio,  tra i personaggi di Berardo, Stella, la nonna paterna Maria Vincenza, la tessitrice,  e  persone realmente esistite come Romolo, Gabriella,  la nonna materna, la madre.

In questo modo appare del tutto naturale – come nella trama della tessitura di una coperta abruzzese –  collegare il filo colorato della vita  e dei  ricordi familiari (parte I, “Il filo della vita” e parte IV, “Silone nei ricordi familiari”)11 allo stesso colore del capo di una vicenda romanzata  (parte II, “Le opere, una tessitura di memoria e di azione” )12:  l’intreccio è  tutto accuratamente riscontrabile sulla oggettiva cronologia della vita (parte V)13.

Silone non è un pittore del Rinascimento italiano che inserisce il suo autoritratto tra le figure laterali dell’opera.  Silone è uno scrittore che trasfigura le sue fortissime idee e passioni politiche, i suoi moti d’animo,  le sue vicissitudini personali nel protagonista centrale di ogni suo romanzo, che, in tal senso, non è affatto un’opera oggettiva o post-veristica.  Silone prosegue nella forma del romanzo la sua “canzone” o programma politico, iniziato in forma di militanza partitica.

I suoi romanzi costituiscono una  reale autobiografia per le copiose oggettive coincidenze di avvenimenti, situazioni ed esperienze, ma  sono anche, nella trasfigurazione artistica,   la continuazione,  rivissuta nell’intreccio dei racconti  e realizzata nella tensione morale, delle stesse lotte e dei programmi politici che lo hanno impegnato e fortemente segnato, nella dura realtà di una inequivoca esistenza, sempre cristiana e sempre socialista.  L’uomo Silone, il politico, lo scrittore sono inscindibili.

La vita e le  opere di Ignazio Silone, tessono, quindi, senza alcun artifizio, un’unica tela, in cui i fili d’ordito delle opere si intrecciano con il filo continuo della sua vita.

Maria  Moscardelli

Note

1  Per  l’autorevole  critica scientifica alle accuse rivolte a Silone in questi ultimi anni di essere stato un informatore della polizia politica, cfr.  Giuseppe Tamburrano, Gianna Granati, Alfonso Isinelli, Processo a Silone. La disavventura di un povero cristiano, Piero Lacaita Editore, Roma  2001 e Giuseppe Tamburrano, Il “caso” Silone, UTET, Torino 2006.

2 Vittoriano Esposito in Questioni siloniane (vecchie e nuove), Edizioni Marsica Domani, Avezzano 2003, puntualizza nuovamente le origini della “favola maligna” sul  “rimorso”  di Silone per la morte del fratello, favola che  – sappiamo – ha dato inizio alla ricerca archivistica di carte di polizia utili a puntellare un canovaccio artificioso.  Come è noto, Silone, stando all’estero, fece di tutto per far fuggire il fratello dall’Italia per fargli proseguire gli studi in Svizzera.  Nel frattempo Romolo aveva trovato nel cugino Pomponio,  militante comunista, l’unico punto di riferimento in paese.  Al momento dell’arresto, Romolo ignorava la crescente crisi di coscienza politica di Silone e, durante il periodo della carcerazione, fino alla morte, aveva trovato in Italia l’aiuto del solo Pomponio, al quale Silone serbò sempre una estrema riconoscenza personale.  Il “risentimento” dei familiari di Pomponio verso Silone, con riguardo alla sua presunta “indifferenza” per la morte di Romolo, non ha – osserva Esposito – alcun riscontro nel comportamento e negli scritti di Silone (che  rappresentò il fratello anche nel personaggio di Berardo Viola).  Il “risentimento” dei familiari di Pomponio si basa – a nostro avviso – sulla tenace contestazione da parte di Silone della  militanza comunista di Romolo e, quindi, in ultima istanza,  sulla mancata “fedeltà” ad ogni costo da parte di Silone verso il Partito comunista, “fedeltà”  mostrata invece dal cugino Pomponio e dai suoi familiari.  L’uscita dal Partito comunista è,  quindi, il vero tradimento imputato a Silone da chi è rimasto nel Partito e cerca di montare una  contrapposizione politica tra i due fratelli, che mai ci fu.    Le carte di polizia, le ricostruzioni psicologiche sono sovrastrutture rispetto a questa ancestrale denigrazione del dirigente comunista che seppe ritrarsi per tempo dallo stalinismo.

3 Enzo Bettiza, Corone e maschere, Mondadori,  Milano 2001, evidenzia come la raccolta in maniera forzata e mirata di “informative” anonime, generiche e inservibili attribuite acrobaticamente all’informatore Silone, metta capo ad una “spia per pettegoli”, del tutto improbabile. (v. Press Review)

4 Francesco Sidoti, Il processo a Silone, in Mondo Operaio, luglio-ottobre 2001, critica, dal punto di vista dell’indagine criminologica, il metodo seguito contro Silone.  Movendo da un’ipotesi precostituita – osserva – si sono ricercate, ad ogni costo, conferme.  Con un vero e proprio “procedimento indiziario” all’italiana sono stati assunti, quindi, come indizi, meri pregiudizi, proclamandoli “prove”.  (v. Press Review)

5 Maria Nicolai Paynter, Beyond the tragic vision, University of Toronto Press,  Toronto 2000

6 Giuseppe Tamburrano, Gianna Granati, Alfonso Isinelli, Processo a Silone. La disavventura di un povero cristiano,  e Giuseppe Tamburrano, Il “caso” Silone, op. cit.

7 Michael McDonald, Il Caso Silone, in The National Interest, fall 2001 (cfr. anche  Ignazio Silone and the Fascists, in TLS, 29 dic. 2000;  e riferimento in A party of one, in TLS, 14 feb. 2003).  McDonald ricorda che negli ultimi cinquant’anni  i sentimenti prevalenti degli intellettuali italiani verso Silone andavano dall’odio all’avversione all’indifferenza. Dopo aver menzionato  l’odio in particolare dei fascisti e dei comunisti, arriva alle accuse recenti mosse a Silone in un libro che è “less a coherent, unified work, than it is a clumsy stitching together of two essays” in cui l’accusa “consists of a series of questionable suppositions precariously strung together by a morass of unreliable circumstantial evidence”.   La ”enormous amount of favorable press coverage” è servita a veicolare  la tesi degli accusatori  secondo cui Silone “la più formidabile spia dei fascisti annidata nel Partito comunista”,   avrebbe causato danni mortali al Partito comunista negli anni ‘20.   McDonald conclude sostenendo che Tamburrano, rivelando come il libro degli accusatori sia  un “travesty of scholarship”,  ha riportato la questione del presunto tradimento di Silone alla sua vera sostanza:  un tentativo (documentato) da parte di Silone di aiutare il fratello prigioniero, iniziato nei giorni seguenti l’arresto del fratello (come risulta dalle fonti scritte originarie).  (v. Press Review)

8 Ottorino Gurgo, Francesco de Core, Silone, L’avventura di un uomo libero, Fondazione Ignazio Silone, Marsilio Editori, Venezia 1998

9 Luce d’Eramo, L’opera di Ignazio Silone, Mondadori, Milano 1971

10  Maria Moscardelli, La coperta abruzzese, Roma, 2004

11  M. Moscardelli, op.cit.

12  M. Moscardelli, op.cit.

13  M. Moscardelli, op.cit.